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RUOTE della CAROVANA

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NON PIÙ STRANIERI NÉ OSPITI

Lo straniero è per definizione colui che proviene da un altro paese; la risposta alla domanda “di dove sei” ci permette di capire il grado di “estraneità”, quanto sia distante, in senso fisico e culturale, il luogo di provenienza: la città vicina, un’altra regione, un altro paese, e così via. Il problema nasce quando alla stessa domanda non c’è possibilità di dare una risposta.
Cosa potrebbe rispondere un fierante o circense ad una domanda di questo tipo? Forse potrebbe dire il luogo di nascita, forse il luogo di residenza anagrafica, possiamo arrivare a conoscere il luogo di sepoltura dei propri cari, ma è impossibile individuare una origine geografica-culturale, là dove normalmente, ogni uomo pone le proprie radici.
Non che i fieranti ed i circensi non abbiano radici o cultura, le hanno eccome, ma sono ben fissate in un luogo “altro” rispetto alla dimensione geografica a cui noi “fermi” diamo grande importanza.
Sarebbe assai interessante studiare come la radicazione in un luogo incida sulle relazioni umane sia in senso positivo e soprattutto in senso negativo. L’identificazione in un luogo ed in una cultura ha permesso uno sviluppo non indifferente nella organizzazione sociale, nella produzione di opere d’arte, nell’artigianato, nell’industria, nell’economia. Ma è tipico di chi appartiene ad un territorio il bisogno di una espansione, di allargare i propri confini perché il terreno dove abita non gli è più sufficiente. Nella storia è questa l’origine della instabilità e delle guerre. La gente “senza radici” non sente il bisogno di allargarsi su terreni altrui, semplicemente si sposta da un’altra parte e non ha mai provocato conflitti di alcun genere. Questo fatto dovrebbe far riflettere molto.
Eppure la gente del Circo e del Luna Park  vive l’esperienza di essere straniero, sempre e dovunque, anche nella propria nazione: in ogni città, prima di arrivare, occorre chiedere il permesso per stare e per lavorare. Questo significa entrare ogni volta in un girotondo di pratiche burocratiche, mai uguali da un comune all’altro perché ogni città ha esigenze ed orientamenti diversi e mai una risposta è certa perché un motivo (od una scusa) per ricevere un diniego c’è sempre. Non è un problema da poco ed è il problema che da sempre ha preoccupato la categoria, trovare la piazza dove lavorare. Le leggi ci sono perché ogni Comune individui un’area adatta e la attrezzi allo scopo, ma non tutte le Amministrazioni hanno ottemperato e non sempre l’area individuata è adatta o perché estremamente periferica o perché è uno spiazzo abbandonato a se stesso e trasformatosi nel tempo in una discarica.  Ecco: Fieranti e circensi, stranieri da sempre in casa propria, fanno costantemente l’esperienza del rifiuto.

Ma se il luogo geografico non è quello della radicazione, lo è piuttosto il “luogo” umano: la famiglia, le amicizie, le persone. Le relazioni umane sono il terreno sempre fertile in cui affondano le radici dei fieranti e circensi. Questo fatto trova conferma in alcuni fenomeni tipici di queste società itineranti, come la memoria del proprio albero genealogico, il senso della parentela allargata ed anche il particolare rapporto con i defunti. È abbastanza comune tra i fieranti e circensi che, anche i giovani, conoscano i nomi dei propri antenati, le famiglie di provenienza ed anche le specialità in cui si esibivano i propri avi. Il termine “zio” o “zia” è facilmente usato nei confronti delle persone in cui una anagrafica normale non individuerebbe nessun tipo di parentela. L’esperienza di Abramo che dagli Ittiti compra il luogo di sepoltura per Sara si ritrova nell’esperienza di queste famiglie che nelle tombe dei propri cari hanno l’unico riferimento geografico, quel paesino sperduto dove per un caso è stato sepolto il nonno diventa il luogo di sepoltura di tutta la famiglia e di ritrovo annuale.
Il bisogno di radicare nelle relazioni umane la propria esistenza, ha portato i fieranti e circensi ad affinare il senso dell’ospitalità; proprio loro che in ogni città sono oggetto di ospitalità. Lo sperimentiamo nella cura delle carovane dove vivono, nel rito del caffè, nell’impossibilità di passare da loro senza fermarsi il tempo necessario per condividere la tavola… un posto c’è sempre, anche nel poco spazio disponibile si trova sempre dove coricarsi e passare la notte.
Là il senso dell’ospitalità è reso ancora più evidente nella dimensione del proprio lavoro. L’artista del Circo e del Luna Park non lo dimostra solo nell’abilità del proprio lavoro o nella dimensione dello spettacolo, la sua “arte” va ben oltre e si intravede soprattutto nella capacità di essere ospitali.
Gli artisti delle così dette arti maggiori curano soprattutto la propria abilità personale nel canto, nella recitazione, ecc. sono altri che si curano della loro immagine, dei costumi da indossare, del trucco, della scenografia, del luogo della esibizione, della pubblicità, di accogliere e far accomodare gli spettatori.
Nel Circo e nel Luna Park non è così. Ogni “artista” si preoccupa del trasporto, del montaggio e smontaggio delle attrezzature, della pulizia, della ideazione e realizzazione delle scenografie, dei costumi, delle luci … e di quanto serve per la realizzazione dello spettacolo: dal grande Circo alla piccola giostra. Sono gli “artisti” che invitano e accolgono il pubblico, lo mettono a proprio agio, lo introducono nella dimensione della festa, lo rendono partecipe dello spettacolo.
La vera arte dei fieranti e dei circensi non sta nella straordinarietà dell’esercizio o nella imponenza del “mestiere”, ma nella capacità di accogliere, di intrattenere il proprio pubblico.
La bontà dello spettacolo circense non si misura dalla bravura dei numeri proposti quanto piuttosto dalla abilità di creare atmosfera, di fare ambiente di istaurare relazioni tra artisti e pubblico, è questo che produce le endorfine necessarie perché le persone stiano bene e godano della festa.
Una giostra funziona non perché “gira”, ma perché chi la conduce ha la capacità di innescare nel proprio pubblico quella fantasia che lo proietta altrove e che lo fa sognare.
Tutto questo inizia da lontano, da una accuratezza dei particolari, dalle luci e dalla musica, dal sorriso di chi è alla cassa, ma soprattutto da una Cultura con la “C” maiuscola che trova le proprie radici nelle generazioni precedenti e che ha fatto dell’ospitalità uno stile di vita.

 

In Cammino 2008-4

ripreso da: Servizio Migranti, 2008-5